Critica
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La pittura di Mario Esposito è imbevuta alla radice di una lunga tradizione storico artistica, che intende veicolare la disarmante bellezza dell’universo attraverso una semplicità apparente. Nell’attività dell’artista la creazione manuale si accompagna all’ideale creativo nella realizzazione di opere multiformi in cui nulla è lasciato al caso. Come nella tecnica del mosaico, nelle composizioni di Mario Esposito l’irregolarità della disposizione e degli accostamenti regala forti suggestioni luministiche di grande impatto visivo, riverberando in chiave pop l’eco di un’arte antica veicolante profondi significati simbolici. La reiterazione di oggetti e soggetti diviene allora un pretesto per favorire la meditazione sull’oggetto stesso e la quotidianità in cui il suo utilizzo di dipana, e sull’essenza stessa del soggetto raffigurato. Per contro, l’accostamento di tele di piccola dimensione dal diverso contenuto permette lo sviluppo della capacità immaginativa, invitando l’osservatore a affacciarsi su nuove visioni di un mondo che pensava già conosciuto. La tessitura cromatica evoca gli accostamenti tonali di Gustav Klimt, che rimase abbacinato dall’arte musiva, e regala suggestioni vive e mai banali, che si affacciano tra i soggetti analizzati dall’artista. Se nel delineare forme che rimandano a organismi primitivi Esposito sembra voler rivolgere un invito pop, intendendo il termine della sua accezione originaria di popolare e pertanto fruibile da tutti, a osservare la natura in modo più attento e consapevole, nella scelta di soggetti riconoscibili l’artista segue da vicino le tracce di un linguaggio contemporaneo che permetta a tutti di avvicinarsi all’arte con lo sguardo cosciente, certo di rintracciare nuovi significati. La scelta del formato quadrato, che simbolicamente richiama l’elemento Terra, rappresenta la predilezione funzionale di un elemento ricorrente che serva sia da riconoscimento e “firma” stilistica, sia da riferimento archetipico per l’osservatore, invitato a muoversi e a esplorare nel profondo possibilità ed esperienze inattese di un mondo conosciuto. La singola immagine o la sua ripetizione, rese familiari e comprensibili, rivelano all’uomo attento un nuovo punto di vista sul mondo e forse anche su se stesso, attraverso un nuovo modo di guardare. L’eco più o meno celata del vissuto dell’artista e della sua indole conferisce fascino ai lati sottaciuti dell’opera artistica, caratterizzata da leggerezza, luminosità, positività. Se la scelta dei soggetti può talvolta rievocare risonanze emotive, questo è dovuto all’interesse di Esposito di restituire dell’universo una propria particolare visione, lontana da un particolarismo descrittivo, piuttosto evocativa, pervasa di lirismo, rinnovata dalla resa degli effetti luministici. Attraverso la cifra stilistica l’artista definisce con chiarezza il proprio temperamento solare, sensibile e colto, dando nel contempo un’efficace dimostrazione della propria padronanza tecnica.
Francesca Bogliolo
“L’umanità che si salva, prima di tutto, immagina”
A. Sarchi
Saper raccontare il mondo che ci circonda e la meraviglia che esso suscita è, fin dai tempi antichi, un modo per insegnare a rapportarsi con la realtà, con la propria interiorità, con le proprie emozioni. L’indiscussa capacità narrativa di Mario Esposito esprime le proprie potenzialità attraverso il progetto dei “piccolini”: elementi formali che, attraverso tratti grafici essenziali e colori accesi permettono la rappresentazione delle possibilità dell’uomo e l’allenamento della sua capacità immaginativa. L’impianto narrativo viene garantito da una serie di componenti che, associati tra loro, permettono – in modo analogo alle carte di Propp – di scrivere una storia del tutto nuova e personale. Attraverso la propria chiarezza iconografica le piccole tele rivelano l’instaurarsi di un dialogo tra chi crea e chi, osservando, decide di accostarle effettuando una scelta, riportando l’arte alla centralità della sua funzione relazionale. Esposito sembra voler ricondurre l’uomo alla necessità di riappropriarsi del proprio tempo, in particolare della dimensione dell’ascolto: componendo le opere, l’osservatore mette in scena la propria fiaba interiore, rendendo collettivo il sogno del singolo. Tra le piccole tele di Mario Esposito si vivono incontri felici di poesia spontanea, di cui non tutti i versi siano leggibili, ma sia intuibile la ricerca di una singola armonia interiore. L’esperienza condivisa con l’artista diviene occasione di riflessione sull’unicità di ogni singola esistenza. L’archivio della memoria si arricchisce, il sogno si può fare ad occhi aperti.
Francesca Bogliolo
Recenti studi evidenziano come rivivere e il condividere ricordi importanti del proprio vissuto abbia effetti positivi sul benessere psicofisico della persona. Conservare informazioni è compito del cervello umano, che tramite la memoria registra ogni evento occorso, contribuendo a definire e mantenere salda l’identità del singolo individuo. Più delle parole, le rappresentazioni sanno dialogare con l’inconscio per permettere all’osservatore di ripercorrere alcuni momenti della propria vita, ricostruendo attraverso la potenza dell’immagine simbolica qualcosa che oltrepassi il reale e permetta di rivivere emozioni legate a quello specifico istante. L’arte di Mario Esposito possiede la potenza evocativa del racconto e l’incanto e la semplicità della fiaba, capace di coinvolgere chi guarda permettendogli di affacciarsi su una realtà parallela in cui ritrovare uno specchiante riflesso. Testimonianze tratte dal quotidiano, protagonisti rivisitati di un fumetto e interpretazioni di celebri opere d’arte, sono solo alcuni degli elementi che si snodano nella poetica dell’artista romano, capace di comporre, ovvero di mettere insieme, di far entrare in relazione tra loro, elementi che ravvivino nella memoria dell’osservatore un sentimento che entri in stretta relazione con la propria complessa esistenza, frammentata in immagini rappresentative. Esposito cristallizza i ricordi, li fissa con la resina, li trasporta da una memoria evanescente a una realtà pittorica, arresta un momento irripetibile nel tempo, ne isola i dettagli. Dando la possibilità a chi entra in contatto con la sua opera di esercitare una facoltà di scelta e di assemblarne le parti che ritiene più rappresentative, l’artista focalizza la sua attenzione sulla relazione che si crea tra l’osservatore e l’opera d’arte intesa come esperienza viva e vitale. Le immagini catturate costituiscono una sorta di caleidoscopio che ha intimo senso solo per l’occhio capace di interpretarlo, costituendo per il pubblico restante una variegata e composita occasione estetica. Come il protagonista di una fiaba, ancora una volta, di quadrato in quadrato, di piccolino in piccolino, di immagine in immagine, Mario Esposito lascia sul sentiero della memoria tracce apparentemente impercettibili che permettono, a chi osserva attentamente, di ritornare a casa.
Francesca Bogliolo 2019
Il particellamento è l’anima anche dell’opera musiva di Mario Esposito. La vastezza di tasselli a sé stanti, autonomi ma aperti a sviluppi narrativi, riflette la legge naturale di auto-similarità nello specchio linguistico e grammatico del pensiero sequenziale della conoscenza umana. La capacità di portare la mente avanti e indietro nel tempo – non restando quindi ancorati al solo “qui e ora”, l’unica dimensione spaziotemporale del regno animale – ovvero la memoria è governata, conferma già la Gestalpsychologie, da una frammentazione, classificazione e archiviazione di cosa con cui entriamo in contatto. A partire da circa tre anni d’età, infatti, il cervello umano acquisisce la capacità di confrontare ogni stimolo recepito – per comprenderlo – con le esperienze già scritturate dalla memoria, ovvero di costruire un storytelling che consente di indentificare ed eventualmente completare con dati preesistenti l’immagine mentale di ogni nuovo stimolo e/o evento. Questo processo è possibile sulla base di due tipi di schemi mentali organizzativi: schema che si riferisce al valore semantico dell’esperienza – che è acquisita, etichettata e archiviata mnemonicamente – sulla base del quale inquadramento semantico agiscono gli script, ovvero la strutturazione sintattica di successione degli eventi, le microsceneggiature dinamiche determinate dalla specifica situazione, dal ruolo che ha in essa e le conseguenti strumentalità a scopi.
Ogni microtela di Esposito funziona, dunque, sia come una frase a se stante – uno schema coinvolto in un script contestualmente interno – che come un morfema, un unità semantica coinvolta, insieme ad altre, in una narrazione globale che abbraccia nello stesso spazio e il tempo opera, artista e fruitore.
Denitza Nedkova
Un oggetto di vastissime dimensioni, un grande insieme di associazioni, amassi legati insieme dalla reciproca forza di gravità La semplice definizione di un fenomeno spaziale si trasforma nella descrizione perfetta di un’esistenza creativa. L’universo pittorico di Mario Esposito, in effetti, spazia dalla micro particella di polvere stellare al macro agglomerato di astri, unendo tutto con la vitale dinamica del colore. La percezione visiva dei segnali nervosi che i fotorecettori della retina inviano al cervello quando assorbono le diverse lunghezze d’onda della luce poteva rimanere anche solo la descrizione di un processo biofisico, ma da quando l’essere umano è cosciente questo contatto tra vista e visto catalizza, oltre il processo sensitivo, un intero mondo emotivo.
L’azione sensibile, morale, etica ed estetica del colore e dunque i suoi aspetti sentimentali e soggettivi, diventano conditio sine qua non per il mondo artistico, colpito dalla grande Teoria dei colori di Goethe. Evidente che si tratti di non solo un puro fenomeno fisico, la cromia diviene qualcosa di vivo, di umano che indubbiamente origina nella natura, ma che si realizza nel meccanismo della visione e della spiritualità dell’animo osservatore. Perde così importanza il grande quesito tra il bianco che si scompone nel spettro dei colori puri e il nero che si compone dalla somma degli stessi. L’accento cade definitivamente sulla forza latente di un elemento capace di esistere solo nel momento d’incontro e interazione tra uomo e mondo esterno.
Alla base del operato di Esposito sta esattamente questa linea di riflessioni, che porta l’artista a sviluppare una ricerca cromatica ricca e esuberante. La trinità compositiva del colore – tonalità, luminosità, saturazione – è portata ai limiti della sua massima espressione con tecniche tridimensionali che trasformano il discreto rilievo della pasta colorata in oggetto effettivo. Esso ora si manifesta non superficialmente, vincolato dal supporto e le sue due dimensioni, ma esplorando la dimensione della profondità interna e/o interna. Si liberà così il meccanismo di sviluppo e di continua moltiplicazione del elemento astrale che manifesta la sua duplice natura – implosiva ed esplosiva- i stilemi di carattere biologico, quasi unicellulare. Esposito narra la vita molecolare del colore ricomponendo i puzzle cellulari dei suoi sistemi organici. Le raffigurazioni che interessano il nostro occhio vengono associate a immagini riconoscibili come alberi, peschi, fiori,frutti, volti nella realtà fenomenica ma sono destinati subito a essere “divorate” dalla “contaminazione” cromatica. Ogni oggetto, cosa o essere vivente si aggrega nel processo di procreazione del colore, abbandonando la sua naturale struttura di atomi e subendo la metamorfosi genetica alla quale l’arte di Esposito la sottopone. Il risultato e stupefacente. Ogni pittura o galassia di pitture apre le porte verso un a costellazione sconosciuta, composta di vibranti e brillanti sfere policrome intente a radunarsi in corpi complessi per poi dissociarsi ed esistere singolarmente.
Dal punto di vista tecnico i forti contrasti cromatici, l’utilizzo di stratificazioni materiche e l’applicazione di finiture traslucide donano un forte dinamismo implosivo e, contemporaneamente, esplosivo delle creazioni di Esposito. La vicinanza a certe soluzioni espressioniste e informali e presente unicamente a livello esecutivo, in quanto la poetica dell’artista si concentra su ricerche di carattere biomorfista e surrealista con forti elementi ornamentali di stampo simbolista.
Ottobre, 2013
Denitza Nedkova
Forme, guizzi di colore, immagini stilizzate, Universi e stelle che fluttuano in spazi chiari o scuri, sospesi, onirici, emozionanti…queste le opere di Mario Esposito, artista romano di indiscusso talento e originalità. Le sue molteplici serie di “piccolini”, come lui stesso le definisce, colpiscono per l’importante sfumatura ludica che in ogni fruitore sa suscitare. E’ un gioco l’idea da cui l’artista li crea ed è un gioco che attrae lo spettatore e il collezionista che ne viene coinvolto. Ognuno può a sua volta “creare il suo puzzle”, componendo il “proprio” quadro, piccolo o grande finchè vuole, con i piccolini, di 10×10 cm, che, con i colori, le forme o le figure, più lo affascinano. Un’idea creativa e interessante in cui l’interattività è parte integrante dell’opera. Difficile anche per un artista porsi così “a disposizione”, lasciando finire la creazione dell’opera “all’altro” …liberamente. C’è in questo suo fare una generosità che non si trova spesso, ma che per questo lo contraddistingue. Mario CREA ed in questo si sente appagato, nel produrre opere sempre nuove e che sempre si possono rinnovare nell’incontro con l’altro. Opere che vivono di vita propria, emozioni cromatiche sempre in movimento, Spazi interstellari di cui l’artista si rende conto di essere solo l’incipit, il punto di partenza, lo start di una corsa e di un “viaggio contemporaneo” nelle emozioni e nei pensieri di tutti quelli che incontra. La sua visione interiore del mondo esce pura in queste sue piccole/grandi opere e cerca e trova animi aperti e sensibili con cui comunicare ed interagire per un ulteriore arricchimento e trasformazione. Gli oggetti vengono dissolti in una semplificazione di macchie colorate da cui l’artista puo’ creare combinazioni armoniche. Il colore da’ al dipinto forti e profonde emozioni rivelando un mondo interiore, per questo la scelta del colore non puo’ essere casuale come non lo puo’ essere la scelta della figura. Tutte e due sono espressioni di un “bisogno interno” e allora, facendo la giusta combinazione, si riesce davvero a communicare con l’anima umana. Le forme e i colori rimangono per Esposito “i tasti” di cui parlava Kandinsky, le note che sanno far vibrare l’anima e colpiscono la nostra mente ed attraverso un gioco/bambino, istintuale, ci emozionano. Questa “scossa psichica” ci rende “vitali creatori” unitamente all’artista….fruitori e , a nostra volta, trasmettitori di emozioni che meglio ci fanno comprendere “il senso della vita”.
Francesca Mariotti, 2013
Mario Esposito, un artista, un uomo con un grande cuore ed uno spirito attento alle piccole ed alle grandi cose della vita. Il suo modo di essere diventa espressione artistica e la sua arte mostra l’empatia che la vita sa comunicare a chi le presta attenzione. Forse sarà l’esperienza lavorativa in ambito ospedaliero, l’energia che occorre avere nell’insegnamento, la capacità di ascoltare e di comunicare, sicuramente la grande risorsa creativa, ma le opere, le piccole e le grandi opere che Mario sa “inventare” ogni volta, sono sempre uno scrigno di emozioni allo stato puro. La voglia di rinnovarsi e di trovare attraverso il colore una espressione sempre nuova sugli stessi temi conduttori declinati in mille diverse e sbalorditive modalità, come i suoi “alberi” , così come quello di saper cogliere o ritrovare immagini o simboli che facciano subito leva o parte del bagaglio esistenziale di ognuno, sono le doti che maggiormente affascinano e lasciano stupiti chi, come me, lo segue da tempo. Ha saputo trovare una sua cifra, un suo stilema ben riconoscibile che, in ogni caso, sa rinnovarsi in continuazione senza perdere identità. Un pregio che difficilmente sanno raggiungere molti artisti! L’aver realizzato la possibilità della “opera personalizzata”, seppur solo di sua creazione, con le composizioni libere di due, quattro, sei, otto, dieci, trentasei … quarantadue … infiniti PICCOLI BRANDELLI D’ARTE, i suoi piccolini, lo colloca tra le personalità artistiche più interessanti del panorama contemporaneo. L’aspetto ludico, l’essere partecipe e attento ai nuovi simboli del contemporaneo ed a quelli intramontabili rivisitati, come la Vespa o Mister Linea, costituisce un valore aggiunto alla sua interessante tecnica pittorica. Gli smalti, acrilici,olii, assumono nei suoi lavori effetti materici luminescenti tali da sbalordire il fruitore che, disorientato, non ne riesce a definire la composizione. Le sue mini – tele, cm10x10, continuano a sorprendere tutti per la loro “impressione materica”, “ceramicata”,che in realtà costituisce un magnifico effetto ottico dato dalla corposità del colore e degli smalti sapientemente utilizzati. Tutto ciò rende ancora più intrigante il gioco compositivo, che l’artista suggerisce solo in piccole composizioni,”donando” al visitatore l’ebrezza creativa seguendo l’emozione personale ad ognuno….. briciole di emozioni che compongono mosaici di imput per l’anima di ognuno! L’artista sta riscuotendo consensi in tutta Italia ed anche all’estero, creando centinaia di “piccolini” sempre nuovi e piacevoli. Sono quasi piccole opere zen che racchiudono semplici messaggi universali, primordiali e diretti, che spesso sottintendono qualcosa, ma che spesso racchiudono ironicamente solo un sorriso.
Francesca Mariotti
L’Arte contemporanea ha infinite sfaccettature in cui si esprime ed in cui riesce a emozionare, provocare, commuovere, scuotere, stupire…nel bene e nel male che la vita presenta. Ma esiste anche una ricerca artistica che si pone come “semplice” e non semplicistica espressione della “bellezza di un sorriso”, offrendosi come giocosa immagine della fantasia umana. Immagini ed icone legate a luoghi, colori, tempi e segni, diventano così per l’artista la ragione per creare in piena libertà, ricostruendo quella parte “bambina” che è in tutti noi, giocando con l’arte. Questa parte ludica, tutt’altro che trascurabile, ma legata a tante espressioni della Storia dell’Arte, da Mirò, Kandinskij, Klee, Picasso, è la chiave di lettura delle opere di Mario Esposito, romano, attento osservatore dell’estetica e del design che sta attraversando la nostra epoca.
Nei suoi “piccolini” troviamo sia la geniale idea dell’opera a “puzzle”, che ognuno può adattare e scegliere nelle dimensioni, sia la presenza di temi che un po’ sono a tutti vicini, dai simboli del XX e XXI secolo, la Vespa, Mister Linea, Peppa Pig, i cuori ed i piccoli grandi animali, spesso collezionati, come gufetti, elefanti, pesci, pappagalli. Questo senza perdere mai il grande legame con la Natura e con i suoi simboli, ormai eletti ad archetipi dall’artista, gli “alberi”, da sempre espressi in centinaia di modi e varianti, da sommare e collezionare all’infinito tra colori e stilizzazioni sempre diverse ed accattivanti. Ed ora, con la sua recentissima produzione, sta creando una nuova serie di “piccoli polittici” dal formato di ogni tela leggermente più grande, cm 30×30, sempre sulle tematiche portanti, i “fondi marini” e gli “alberi”, in cui sei o nove tele creano una suggestione ancora più interessante e forte, trascinando il fruitore direttamente nel quadro come parte di esso e non solo come artefice della composizione, ma attore al suo interno.
Una capacità creativa e compositiva così naturale, all’artista Mario, che con la stessa semplicità e naturalezza sa coinvolgere e riscuotere consensi in un numero nutrito di collezionisti, attenti a ciò che di interessante e qualificante è sul panorama contemporaneo. La scelta di esprimere con colori, corposi e decisi, immagini ben definite e stilizzate, su cui la resina agisce in modo vivificante, rende le sue tele uniche e fortemente piacevoli proprio per la gioiosa evidenza dei colori. La stessa tecnica Mario Esposito sa esprimerla nelle tele di grandi dimensioni, che continua a realizzare parallelamente ai “piccolini”, sempre in omaggio alle luci e colori della Natura, a diretto contatto con essa e con i ricordi legati alle campagne della sua infanzia. A volte risulta incredibile vedere quanta fantasia e quanta creatività Mario riesca a mettere sulle tele, sia grandi che piccole, in una inesauribile fiumana di opere, sempre bellissime espressioni di soggetti diversi, anche se ripetuti.
La sincera voglia di vivere e di “cantare la vita” che è intorno a noi, rende questi lavori di Mario Esposito un vero concentrato di quanto di “Bello” l’arte possa proporre oggi.
Francesca Mariotti
Dicembre 2014
Alla rielaborazione di un pensiero di Gerard Richter che sottolinea come nella nostra realtà quotidiana sempre più si vedano in giro opere di grandi dimensioni, perdendo la magia e la poesia dei piccoli brani di tela, deve essersi ispirato Mario Esposito quando ha creato i suoi Piccolini , delle piccole opere intelaiate dai colori pop brillanti che l’osservatore-acquirente può scegliere a proprio piacimento e combinare liberamente come tanti pezzi di un puzzle variopinto. Ciò permette l’integrazione tra opera e osservatore, ne amplia l’aspetto ludico tanto da portare Esposito a impostare il Cubo di tele , (una costruzione ovviamente cubica) in cui a ogni faccia corrisponde una pittura, che sottolinea non uno spazio isolato nel momento e posto sul muro, ma un “qualcosa” che si colloca in un ambiente reale, seppur con uno scopo non funzionale, differenziandosi dagli oggetti di design. Questa logica non può leggersi isolata, ma erede delle rivoluzioni avanguardistiche che hanno sempre più aperto alla dimensione integrativa e interattiva dello spettatore, come l’Eventualismo, la body art, le serate futuriste, l’arte concettuale. A detta dello stesso, riferimenti per Esposito sono innanzitutto le opere di Klimt e le produzioni delle arti applicati viennesi (Wiener Werkstatte di Kolo Moser e di J. Hoffmann in primis) per l’importanza della cornice, Mirò e Kandinskij negli astratti -che si differenziano dai figurativi per la maggiore libertà esecutiva e la conseguente miglioria tecnica che li allontana dalla banalità delle precedenti-, Mondrian per l’uso dei colori e la ripresa dell’albero come elemento di elaborazione originario, in alcuni addirittura Jackson Pollock per la tecnica del dripping (nelle tele più grandi) e l’Informale a colpi di spatola, di colore puro o di pennello libero (dove si lascia fluire liberamente la sensazione momentanea senza scadere in eccessivo decorativismo lineare). A volte l’ispirazione giunge fortuitamente, nemmeno richiesta, come può essere una scritta araba su un muro o un graffito incomprensibile. Si tratta di un tentativo di raccogliere momenti del presente condensati in un’azione al limite del meccanico, ma che si stempera della sua freddezza se intrisa di emozione. Partendo da un’imprimitura pop ripassata più volte, così da permettere all’acrilico di condensarsi nel suo aspetto più metallico, egli getta il colore brillante e sintetico della moderna produzione industriale e vi gioca come farebbe un bambino con pennelli, spatole, bastoncini, dita, unghie, piccoli arnesi con cui arriva a grattare la superficie per dare l’idea di un doppio fondo. Questo particolare approccio gli deriva da una serie di esperienze di counseling d’arte in cui si è immerso nel colore, arrivando a percepirne il più possibile l’essenza. In finale egli passa a pennello uno o più strati di vernice e decide se sia lo spettatore a dover interagire con la sua scelta oppure se sia proprio l’autore a dover incorniciare e isolare il Piccolino. Può infine capitare che l’acquirente non voglia incorniciare il prodotto. A riguardo si propone una piccola confezione in cui riporre i pezzi scelti per la combinazione. Questi piccoli brandelli di sensazione e tentate emozioni sono ormai la prova confermata di quanto più spesso si vada preferendo una ricerca nella società contemporanea che da tableau trasformi l’oggetto in surface proiettiva per l’osservatore.
Francesco Rotatori
Una delle principali caratteristiche degli artisti di valore è la loro riconoscibilità. In questo Mario Esposito ha vinto la sua battaglia: ovunque troverete le sue opere le riconoscerete subito. L’artista basa tutta la sua arte sulla grande tecnica della comunicazione, sull’abilità di esprimere con dei colpi di pennello delle vere e proprie emozioni. Questi impulsi, questi fremiti, queste concitazioni vivono in un universo parallelo, un mondo creato per mostrare e condurre il pubblico verso la “sua arte”. La tela è il tramite tra il cosmo del pittore e l’infinito delle emozioni che vive in ognuno di noi. La fantasia e l’estro dell’artista vengono trasportate nelle sue creazioni per contaminare la sensibilità del fruitore. I colori e i lineamenti raccontano la passionalità con cui l’artista decide di invadere il cuore dell’osservatore. Le linee sono decise e definite, i colori irruenti. I tratti sembrano friggere sulla tela, incapaci di contenere l’ingente bagaglio di sentimenti che Esposito tenta di costipare nelle sue creazioni. Forti contrasti cromatici entrano con impeto nel campo visivo del fruitore. Esposito richiama alla contemplazione, alla meditazione lo spettatore di fronte alle sue opere; lo porta altresì a convivere con esse, per la forte emozione estetica che questi lavori regalano. Le raffigurazioni di Esposito vengono fecondate dalla sua creatività, per poi adeguarsi al colore. L’oggetto, dunque, subisce un processo di mutazione che si contraddice con la realtà. Le composizioni di Esposito sono energiche, irrequiete, scalpitano nelle tele come le sensazioni che si propagano nella mente di chi osserva le sue produzioni.
Dott. Giorgio Grasso
Il lavoro che abbiamo scelto ci rappresenta, parla di noi. È l’attività che richiede le nostre più grandi risorse, la maggior parte del nostro tempo. Lo abbiamo rincorso con anni di gavetta o trascorrendo le notti sui libri all’università e una volta ottenuto è diventato parte della nostra vita.
In un momento successivo, abbiamo capito che non poteva esistere solo il lavoro e abbiamo iniziato a organizzare le attività del nostro tempo libero: adesso andiamo in palestra, pratichiamo sport di gruppo, abbiamo comprato una reflex o un buon telefonino per cimentarci con la fotografia… chi non ha mai seguito un corso di cucina o di inglese? Accade poi un giorno che vai a lavoro, – magari fai il docente di discipline sanitarie – svolgi le tue ore con la voglia e l’abnegazione di sempre e dopo ti capita di partecipare ad un laboratorio di pittura. Lì capisci che hai sempre voluto esprimere qualcosa e che hai trovato finalmente il canale giusto: la creatività fluisce liberamente e scopri di avere un linguaggio che ha un’autonomia e una riconoscibilità proprie. L’ispirazione si manifesta in maniera frazionata, frammentata, non riesci a dipingere tele molto grandi perché ogni gesto è una minuscola traccia del tuo vissuto e non ha bisogno di essere gridata. Hai l’esigenza di lavorare sulle piccole dimensioni e di separare quanto più possibile i pensieri che ti sfiorano, perché è così che ti senti: come se la tua anima fosse esplosa in tanti piccoli pezzetti di abbagliante colore.
Stiamo parlando di Mario Esposito e dei suoi “piccolini”. La chiave interpretativa è già nel nome: si tratta di tele di piccole dimensioni dove lo spazio è quello sufficiente a contenere una sola idea per volta, ma che si riverbera in tutta la composizione attraverso molteplici soluzioni cromatiche. Prendiamo il tema degli alberi ad esempio: volendo prescindere dall’aspetto citazionistico di Gustav klimt e del primo Mondrian, è sorprendente constatare gli effetti percettivi di quel colore così fluido e traslucido dato dall’applicazione degli smalti nella fase successiva alla prima stesura di colore. Nel tentativo di cogliere i più minuti particolari di quelle “piccole storie”, l’occhio indugia per pochissimo tempo prima di ricominciare a roteare in un vortice colorato, organizzato però, attraverso ordinati quadrati di 10x10cm che sono assemblabili e il cui numero può variare in base alle specifiche esigenze(quelle del fruitore/acquirente).
Le direttrici della produzione pittorica di Esposito spaziano dalle arti applicate di matrice viennese (quelle che confluiscono nell’ambito della Wiener Werkstätte) e dalle quali l’artista mutua l’attenzione nei riguardi della cornice, passando attraverso la complementarietà di artisti quali Joan Mirò e Vasilij Kandinskij nelle loro manifestazioni puramente astratte, giungendo ad esiti che, se non sono propriamente associabili all’ Action Painting, recano in una maniera altrettanto spontanea e immediata l’irrompere del “gesto” e la sua impronta.
La componente emozionale è il tramite espressivo di questo singolare linguaggio iconico: le reminiscenze dell’infanzia, fondendosi con le tematiche desunte dal nostro immaginario collettivo, si palesano con figure che sono a un tempo piccoli appunti sul taccuino dei ricordi dell’artista e linguaggio criptico di uno speciale rebus.
L’aspetto ludico predomina in queste composizioni assumendo talvolta il connotato plastico del “cubo di tele”: un puro esercizio di stile, un gioco che non ha nessuno scopo pratico se non quello di catturare, attraverso la tridimensionalità e lo sfoggio di colori rutilanti, l’attenzione di chi guarda.
In un panorama di manifestazioni artistiche eterogenee come quello dell’arte contemporanea, Esposito si distingue per uno stile che lo colloca meritatamente tra gli autori che padroneggiano un linguaggio immediato e riconoscibile. Questo bagaglio di “piccoli racconti” ha fatto e continua a fare bella mostra di sé in progetti espositivi nazionali e internazionali. Volendo citare la sola attività del 2015, si ricordano le mostre personali presso le gallerie italiane Wikiarte (gennaio/febbraio – Bologna), Galleria Spazio d’Arte L’Altrove di Francesca Mariotti (novembre – Ferrara) e, in mostra permanente, Galleria Art Studio. La fiera Art Expo di New York in aprile e la Galleria Just Art Providence di Boston a Giugno, sono state le sedi estere nelle quali Esposito ha disfatto la sua valigia di sogni e deliziato il pubblico con l’esposizione di decine di coloratissimi micro-quadri.
Il coinvolgimento emotivo è assicurato, lo spettatore è messo di fronte ad un dato di fatto: il compiersi del prodigio dell’arte, dove la creazione è un atto liberatorio di rinascita. Questo è, in fondo, il vero senso del fare artistico: approcciarvisi spontaneamente, senza pregiudizi, sperimentare per se stessi e scoprire di avere qualcosa da dire che è rimasto inespresso fino a quel momento. Coltivare una passione che supera questa restrittiva dicitura e finisce per essere pregnante come il tuo lavoro, totalizzante al punto da fondersi con la tua vita, rendendo sempre più espliciti e manifesti i moti dell’anima.
Simona Andrisano
Organismi naturali. Riconducibili a fusto e chioma, quest’ultima alimentata da sali ed acqua tramite tessuti conduttori. Boschivi o fruttiferi, in funzione del motivo per cui sono coltivati. Aghifoglie o latifoglie, ulteriore distinzione dettata dalla forma del fogliame. Ancora monumentali, se di dimensioni ragguardevoli, dalle caratteristiche paesaggistiche se non storiche. E linfa, che fluisce all’interno: ascendente allo stato grezzo, liquida e vitale anche scorrendo in senso contrario, elaborata ed arricchita dalle sostanze organiche delle foglie, per ridistribuirsi ed alimentarne l’insieme. Alberi, meglio figli del mondo, nella cui essenza spirituale risiede il senso della vita. E da quest’ultimo, il valore universale, cui ricondurre i moti dell’anima e dell’essere cui l’artista Mario Esposito volge, sedotto, la sua attenzione. Svelando un mondo nuovo, evocatore di ricordi comuni stagliati su scenari rupestri. Impressi su tela con colori accesi e luminosi, come lo smalto. Tangibili, nel rilievo delle resine, solide e durature come arbusti. Reiterati, in modo ognuno diverso, per concedere al fruitore una scelta d’istinto, vera ed efficace, sfumata nell’intimo e qui declinata secondo canoni estetici murrini. Trait d’union tra terra e cielo, che lega la dimensione terrena a quella celeste, fungendo da tramite, se non dimora di uno spirito e, da sè, oggetto di adulazione. In occidente ‘Assix Mundi’, l’asse portante dell’universo e, nella Bibbia, sinonimo di conoscenza del bene e del male, cui attinsero Adamo ed Eva, rinunciando al dono dell’innocenza originaria. Narratori di storia, gli alberi, declinata secondo diversi credo e culture. Espressioni di vita e fonte ispiratrice di grandi artisti, tra cui Gustav Klimt, come testimonia la parte centrale del trittico ospite di Palazzo Stoclet, in Bruxelles. Eterogenei per forma, complessa come non, e sfondo, sempre differente, quasi a mimare il ciclo circadiano, scandito dal susseguirsi tra il giorno, la notte ed i loro meravigliosi intermezzi. Nei frutti, tondeggianti con linee concentriche, dalle cromie sempre vivaci, in risalto come emblema della vita a venire, di cui sono il principio. E l’insieme, qui narrato da un linguaggio grafico essenziale, la cui sintesi echeggia nella mente di chi osserva, come stimolo ed invito ad immaginare, ad interpretare in chiave onirica l’elemento primario. Nella cui pluralità risiede il respiro pulsante del pianeta e della vita, riscritto nell’arte di Esposito.
Pietro Franca
Pensiero, creazione ed innovazione, capaci di stimolare l’osservatore al recupero delle proprie radici, creando a sua volta qualcosa di nuovo, tramite la composizione. Atto di ricongiungimento all’unitarietà, declinata attraverso la rivisitazione di un ricordo d’infanzia, che assume nuova e personale forma tramite un’azione la cui poetica sovverte la drammaticità dell’Ecce Puer, già declinata in arte e letteratura da Medardo Rosso e James Joyce, secondo personale sentire dell’artista. Motus definito dalla essenzialità delle figure rappresentate: pesci, gufi, polpi, cuori, monumenti, icone ed astratti citandone solo alcuni, tra cui spiccano i prediletti alberi, al pari degli altri ripresi nei ‘Piccolini’, cifra distintiva di Mario Esposito. Soggetti ed oggetti comunicativi in termini di forme e cromie: le prime, vincolate all’impiego dei materiali scelti come alla tecnica impiegata nella loro applicazione, quest’ultima tratta dal dripping. E gli altri, brillanti e riflettenti stante l’uso della resina, custode degli acrilici, addensanti e diluenti impiegati, inconsciamente evocatrice, attraverso la durevolezza imposta ai manufatti, della persistenza stessa del ricordo più recondito. Vivace e morbido al contempo, legato all’infanzia, scolpito nella memoria di Esposito ed orientato ad un unico e nobile fine: benevolo, formativo e fortemente invitante al tocco, attraverso l’immediatezza di un semplice gesto che rinnova e valorizza la duttilità dell’opera attraverso la creazione di una immagine in continuo rinnovamento. Ed empatia, nei termini di piena condivisione delle emozioni altrui, che rivisita la dinamica degli elementi fondanti nella percezione dell’arte: l’artista, l’opera ed il suo fruitore, il cui ruolo cambia. Vivacemente coinvolto, quest’ultimo, nell’atto creativo, la cui eco supera il consueto confine tra chi realizza e chi osserva, attraverso il cumponere e la rosa delle sue diverse ed infinitamente possibili
combinazioni. Non solo poetica della ricostruzione ma processo, contaminato da diverse componenti: intimità, memoria e purezza, volte alla creazione dell’abito più consono al proprio sentire. E fervida espressione di libertà, sostenuta dall’apparente semplicità del segno e della forma quadrata dei supporti, nella cui rielaborazione vige e si rinnova l’amore e l’integrità di una piacevole esperienza umanamente condivisa.
Pietro Franca
La composizione, fondamento della poetica del ricordo, che diviene intima e personale narrazione. Risolta nell’atto creativo che percorre e rivisita il ruolo dell’opera, dell’artista e dell’osservatore. Ne riscrive i canoni e ridisegna i confini, ponendo l’attenzione sul valore della condivisione, che diviene tangibile essenza. Consapevolezza delle proprie emozioni e percezione empatica di quelle altrui, espresse attraverso un linguaggio artistico che rimanda ad un piacevole ricordo. Alla sua naturale persistenza e, nell’opera di Mario Esposito, alla sua rappresentazione visuale già permeata di densa narrazione. Tratta dall’esperienza ospedaliera, dove leggervi l’innata generosità dell’artista, ed accompagnata dal consueling d’arte, fine questa ed al contempo principio di un’ispirazione che, attraverso l’esercizio della creatività, riporta all’intima purezza di uno stato di benessere, per chi produce al pari di chi osserva. Ne scaturisce una duplice valenza, che percorre l’emozione attraverso l’invenzione marcando i principi di Tsunesaburo Makiguchi che pongono, con spiccata fermezza, la priorità della felicità del bambino quale elemento fondante della libertà dell’adulto lacerando le barriere di una razionalità non sempre necessaria. Disegnano un nuovo equilibrio che bilancia componente emotiva e componente creativa, risolto nell’apparente semplicità di un costrutto che, a conferma di un dialogo sempre appassionante, privilegia l’essenza sull’apparenza. La veste di forme semplici e minute, dalla lettura invitante ed immediata oltre cui vedere, esplorare e condividere l’animo dell’artista e la seducente poesia che ne fiorisce. Come un viaggio, le cui memorie, durature e qui perenni, riflettono la scelta accurata dei materiali impiegati nella sua stessa rappresentazione: acrilici, diluenti ed addensanti velati da un sottile film di resina. Voci materiche il cui timbro induce un senso di persistenza all’origine di un‘estetica dove pesci, elefanti, gufi ed altri animali, se non monumenti o icone della contemporaneità, brillano di luce riflessa, riprendendo canoni figurativi in cui leggervi chiare influenze murrine sostenute da soventi richiami ad i Grandi Maestri dell’arte moderna e contemporanea. Da Joan Mirò a Vasiliy Kandinskij negli astratti, da Gustav Klimt a Josef Hoffmann, nell’ambito delle arti applicate di matrice viennese, da Bansky a Andy Warhol nell’attualità dei soggetti e nella loro replicazione, da Piet Mondrian a Jackson Pollock, nel rispettivo uso dei colori e nel dripping, di cui Mario Esposito riprende la tecnica rinunciando all’informalità della rappresentazione. Dal formato ridotto del dieci per dieci, nei termini richteriani di una dimensione fisica e mentale la cui delicata poesia non cerca l’estensione ma la profondità. La stessa, degli spessori utilizzati, la cui rilevanza evidenzia la matericità dei manufatti ponendoli al limite della forma scultorea, testimoniata dalla vivace cangianza di riflessi e dalla puntuale applicazione delle tecnice acquisite frutto, queste ultime, non solo di solida competenza ma, in primis, di intensa e studiata sperimentazione. E narrazione visuale interattiva, quale meta corrente nella ricerca e creazione di una cifra stilistica che verte al cumponere, palesemente leggibile nell’azione concessa dall’artista all’osservatore il quale, a sua volta, riveste la figura di attore, combinando secondo proprio umore, istinto o semplice sentire i cosidetti ‘piccolini’, elemento identitario di Mario Esposito. Declinati nel numero concesso dal supporto scelto, sia esso una cornice se non una lastra in plexiglass, che assurge ad allegorica tabula rasa su cui scrivere e riscrivere con mani proprie l’intimità della fiaba interiore insita in ogni soggetto, marcando la vivace dinamica di uno story-telling che richiama i dettami già noti nelle Carte di Vladimir Propp. Da cui sembianze estetiche musive, evocate dalla forma ricorrente del quadrato non casualmente simbolo della terra, intrise dello stesso gesto assemblativo prossimo alla costruzione del quadro, ora sinonimo di libertà interiore e, nella cadenza solo apparentemente ludica, di ritorno alla purezza dell’infanzia. La stessa, che Esposito ritrova e propone rinnovando il concetto di arte quale strumento di introspezione e crescita, umana e personale: nonchè essenza, del suo proprio valore relazionale, attraverso cui manifestarne la magia ed il prodigio che la elevano, da mero linguaggio visuale, ad espressione sostanziale dell’essere umano.
Pietro Franca